Titina e il biscotto della speranza

Titina e il biscotto della speranza

Difficile, se non impossibile, non accorgersi a Villaggio Amico, della meravigliosa Titina.

 

Un viso dolce e sorridente,si muove lenta aiutandosi col deambulatore; i capelli sapientemente acconciati in una candida treccia, un foulard variopinto dai colori sgargianti che mette in risalto i suoi splendidi occhi, e scarpe con un tacco improponibile.

 

 

 

“Mi dicono che non dovrei indossarle,-dice, strizzandomi l’occhio- che non fanno bene alla circolazione, ma che devo fare? Non saprei camminare senza, mi piacciono. Non rinuncio alla mia femminilità.”

 

“Ha sempre tenuto al suo aspetto fisico?” le domando.

 

Lei ride “ Macchè, ero un maschiaccio. Ecco perché, ora, in età avanzata, soddisfo questo capriccio. Facevo la –pescatora-, ho lavorato con le gambe in acqua per così tanto tempo figliola mia…Sapete”, continua con la sua simpatica cadenza partenopea,“non mi sono maritata, sono stata di aiuto alla mia famiglia e non mi pento assolutamente delle scelte fatte. Non ho avuto figli miei, ma ho cresciuto tre nipoti come e meglio di una madre. Loro sono il mio tesoro più grande, i miei gioielli”. Non faccio fatica a crederci. Sembra una madonna da tanto amore trasuda dai gesti e dalle parole.

 

“Titina, se le chiedessi di confidarmi un ricordo legato al cibo nella sua infanzia, cosa mi racconterebbe?”

 

“Tesoro bello, noi non siamo mai stati ricchi, ma neppure poveri. Vivevamo di pesca e di raccolto. La guerra però ha cambiato tutto. Mi ricordo che facevamo chilometri, io, mia madre e mia sorella, per andare a comprare il grano e il caffè di contrabbando. La corriera non si poteva prendere perché c’era il rischio che ti rubassero tutto. Ma se devo ricordare un episodio legato al cibo, voglio parlarvi del biscotto della speranza”

 

“Biscotto della speranza? Sono curiosa Titina, continui”

 

Titina chiude gli occhi ma continua a sorridere. Pare che questo ricordo, pur essendo legato ad un periodo difficile, non le crei tristezza.

 

“Il 22 marzo del 1944, la Campania fu sconvolta dall’eruzione del Vesuvio. Quanta paura avevo! Dalle finestre della mia camera non si vedeva niente, come se fossimo stati inghiottiti dalla notte. Non potevi sapere se c’era il sole, se era giorno, perché era tutto nero.

 

 

Eruzione del Vesuvio

 

Restammo in casa qualche giorno. Le scosse si erano assestate. Non avevamo più cibo. Bisognava assolutamente uscire e cercare qualcosa da mangiare. Abbiamo aperto la porta e la cenere del Vesuvio copriva quasi interamente la casa. Io ero la più piccola, la più agile. La mamma mi disse di provare ad andare fuori a verificare se vedessi qualcosa”.

 

“ Caspita Titina, immagino la paura…”

 

Lei mi guarda “faceva più paura morire di fame, così mi decisi a salire su quel mucchio di cenere e cercare di capire cosa potessi fare. C’era un silenzio irreale. Tutto il paese nerissimo; non si vedevano più i campi, il fiume, le case… poi improvvisamente vidi accanto a me una donna. Era la mia vicina di casa. Ci abbracciammo. Era contenta di vedermi viva . Le dissi che stavo cercando di capire se c’erano strade percorribili per arrivare in città e comperare da mangiare. Lei aveva fatto i biscotti con l’ultima farina rimasta. Mi disse di aspettarla. Rientrò in casa e poco dopo mi diede un panno di tela con dentro un biscotto. Non dovete pensare ai biscotti che si usano adesso; era grande, rotondo, duro perché non aveva burro, ma per me era come vedere la pietanza più prelibata del mondo” –Tieni Titina, chissà da quanto tempo non mangi, che il Signore ti protegga-

 

“Ringraziai la signora e decisi di incamminarmi sbocconcellando il biscotto perché non volevo che finisse subito. Ad un tratto sentii un suono. Non sapevo cosa fosse. Assomigliava ad un canto, una nenia; decisi di dirigermi verso quello che, avvicinandomi di più, sembrava una melodia sussurrata. Salii su un’altura e davanti ai miei occhi intravvidi delle figure umane inginocchiate e davanti a tutti stava un uomo che reggeva la statua della Madonna Era il sacerdote del paese. Aveva deciso di chiamare più persone possibili in processione. Restai incantata a guardarli, poi all’improvviso, in tutto quel nero, alzai gli occhi al cielo e vidi una nuvola azzurrina che si muoveva lenta lenta. Era il primo colore visibile dopo tanti giorni di cenere. Guardavo le persone inginocchiate, la statua della Madonna, che ora era ben visibile e di nuovo il cielo. La nuvola si spostò definitivamente e apparve la cima del Vesuvio, spenta, muta in un silenzio devozionale”.

 

Titina ha gli occhi lucidi. E’ commossa. Le poggio delicatamente una mano sulla spalla. Lei continua.

 

“ Ho visto l’azzurro del cielo, mi sono inginocchiata anch’io e ho cominciato a pregare e a ringraziare. Eravamo salvi.

 

Tra le mani avevo l’ultimo pezzetto di biscotto datomi dalla gentile signora. Lo gustai lentamente, pensando che potevo farcela adesso; potevo trovare la strada e tornare a casa col cibo per la mia famiglia. Un biscotto, offerto con amore, aveva riacceso la speranza”.