Alzheimer e Caregiver: quello che è importante sapere

Alzheimer e Caregiver: quello che è importante sapere

A cura della Dott.ssa Paola Chiambretto.

C’è un aspetto nella Malattia di Alzheimer che risulta molto importante e che riguarda i cosiddetti caregivers, le persone che accudiscono il malato.

Le persone che accudiscono i malati dimostrano quadri, atteggiamenti psichici o comportamentali tanto vari almeno quanto quelli dei malati stessi.

Di fronte ai problemi posti dalle diverse espressioni cliniche della malattia, anche chi presta l’assistenza dimostra reazioni altrettanto differenti.

Ogni operatore ha una sua caratteristica personalità, una sua particolare modalità per affrontare le difficoltà cognitive, emotive ed affettive, una personale filosofia di vita, una determinata capacità di porsi in relazione con la malattia e con l’ammalato.

Questi quadri si collegano con il tema delle emozioni, dei sentimenti, delle fantasie, delle illusioni ed anche delle ansie, delle angosce, delle frustrazioni, delle risposte distruttive o riparative che i caregivers dimostrano come espressioni reattive.

Nell’osservare il nostro rapporto con la demenza si scopre una specie di freddezza, di allontanamento affettivo che deriva sicuramente da una obiettiva dimensione di svalorizzazione.

Il de-mente ha perso la propria “mente”, ha perso il rapporto con la ragione, non ha possibilità di agire comportamenti razionali e coerenti, e proprio questa rottura è responsabile dell’allontanamento da una società che, in tutti i suoi aspetti, privilegia la razionalità.

Un secondo aspetto da prendere in considerazione è quello che riguarda la sofferenza.

Istintivamente (e questo è un processo mentale ancestrale, quasi da riferire ad un inconscio collettivo) siamo abituati a credere che la vera sofferenza sia quella psichica e quindi il demente (o comunque tutti colore che non hanno o che hanno perso le capacità razionali) non può soffrire.

La pauperizzazione cognitiva viene assunta come sinonimo di “indifferenza cognitiva” ed “indifferenza affettiva”.

Se vogliamo, però, c’è, nell’esperienza quotidiana, una particolare reazione che si osserva più specificatamente ed è quella inerente i sentimenti di perdita.

La “perdita” è veramente ciò che accomuna l’ammalato con il suo o i suoi assistenti.

La “persona” che era indicata come il soggetto ammalato, ad un certo punto, non esiste più come “persona olistica”, caratterizzata da una relazione fondata sulla comunicazione, sulla comprensione, sulle emozioni condivise, sugli affetti che formano legami, anche se esiste un “corpo”, fisicamente presente, che pone o impone problemi.

La relazione si trasforma in un processo ad una sola via, dal momento che è il caregiver, il parente, colui che si deve porre e che deve assumere il ruolo di chi “sa comprendere”, “sa reagire con adattamenti”, sa risolvere “il problema” (che molte volte è veramente gravoso).

Siamo abituati a considerare che di fronte ad una perdita si produce un processo adattativo che tende a far sì che il soggetto l’accetti, senza dimenticarla, ma strutturando una nuova dimensione, una nuova possibilità.

Se la perdita è troppo repentina, può prodursi, prima dell’adattamento, un periodo di commozione, di incredulità o di negazione.

Nel caso dell’ Alzheimer questi sentimenti affiorano, in modo particolarmente intenso, al momento della “scoperta” o della diagnosi.

Successivamente, quando i sintomi si accentuano o si intravvede la gravità della malattia, la sua progressività, l’inevitabilità del suo decorso, si evidenziano dubbi e perplessità.

Fino a quando ci saranno barlumi di speranza? La situazione potrà migliorare?

In questa dimensione, proprio perché non si è sviluppato un processo riparativo e non si è creata una dimensione sostitutiva, la perdita invade il caregiver che non riesce più a strutturare un pensiero logico-deduttivo, non riesce più a vedersi e quindi a chiedersi: “… fino a quando potrò resistere?.

Quando una persona perde qualcosa comincia a cercare, guardando in ogni dove, magari in luoghi dove è del tutto impossibile ( per deduzione logica) che sia finito.

Quando si perde una persona cara la si ricerca (e la si trova) in oggetti, immagini, ricordi; ma quando l’oggetto d’amore non è sparito e continua a convivere con noi trasformato, non abbiamo più la possibilità di elaborare un lutto e viviamo un senso di perdita costante, continuo, che si rinnova ogni giorno proprio perché le fluttuazioni normali della malattia, i continui ed inspiegabili brevi miglioramenti (“… ma sarà veramente Alzheimer? … oggi mi ha riconosciuta, mi ha sorriso!!!) offrono barlumi di speranza.

Si parla di sentimenti di colpa, ma forse sarebbe meglio parlare semplicemente di reazioni di fronte alla perdita di tutte quelle cose di cui abbiamo parlato.

Molti caregivers devono affrontare momenti di estrema infelicità, di disillusione e di desolazione.

Il rapporto con il paziente alzheimer, per le sue caratteristiche, impedisce l’elaborazione di un “lutto” e, per di più, risulta estremamente impegnativo perché non permette momenti di tregua ne di giorno, ne di notte.

Il lutto di una morte è accompagnato dalla vicinanza di parenti e amici, da un periodo nel quale vengono diminuite le esigenze, si è accompagnati da sentimenti condivisi perchè sperimentati insieme.

Con l’ Alzheimer è tutto diverso perché le esigenze sono ogni giorno più gravose; non si sa a chi rivolgersi dal momento che prima, nelle difficoltà, si ricorreva a chi ora è demente; non c’è un sostegno comprensivo da parte del paziente che sembra essere una fonte di richieste ossessive, pressanti e insopportabili; non c’è il sostegno del poter capire e, a volte, ciò che gli assistiti dicono neppure è comprensibile; la situazione cambia continuamente così che non ci si può adattare ad essa.

Il quadro tracciato dimostra come sia estremamente importante mettere a fuoco i problemi dei caregivers e a considerare come le istituzioni, gli organi predisposti, le associazioni di volontariato abbiano il dovere di prestare la massima attenzione ed il costante impegno per cercare di portare aiuto e sollievo a queste persone che, quotidianamente, devono affrontare una realtà estremamente complessa e psicologicamente distruttiva.

Per maggiori informazioni:
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