Villaggio della Memoria e la Terapia Occupazionale: modelli e approcci centrati sulla persona, una realtà in provincia di Varese

Villaggio della Memoria e la Terapia Occupazionale: modelli e approcci centrati sulla persona, una realtà in provincia di Varese

A Gerenzano, tra le province di Varese, Milano e Como, é sorto nel 2010 un centro residenziale d’avanguardia per persone anziane, Villaggio Amico, in cui curare significa umanizzare, accogliere, sostenere la persona e la sua famiglia con i loro bisogni. In tutto il Centro accoglie 144 ospiti anziani assistiti da 105 professionisti; all’interno di Villaggio Amico é presente un reparto protetto (Villaggio della Memoria) dedicato alle persone con demenza.
La filosofia su cui é stata impostata la pratica di assistenza parte dalla conoscenza della persona realizzandone il suo benessere psico-fisico.
Nel Villaggio della Memoria vivono 40 persone (divise in 2 nuclei) con demenza e disturbi del comportamento (depressione, ansia, agitazione motoria,…) che richiederebbero alle famiglie troppe risorse per una gestione adeguata al domicilio. Il design architettonico e gli elementi dello spazio del reparto sono stati progettati con l’intenzione di favorire la socializzazione all’interno di luoghi accoglienti e ospitali che ricordino la casa.
L’equipe multiprofessionale (medico geriatra, infermiere, fisioterapista, ausiliario socio-assistenziale, terapista occupazionale, psicologo) che ruota intorno all’anziano con demenza ha il compito di progettare e realizzare in maniera sinergica un’operatività comune (condivisa nel piano assistenziale individualizzato) migliorandone così la permanenza e lo standard di qualità di vita, attraverso un approccio bio-psico-sociale realistico per ogni soggetto.
In questo articolo si vuole inserire la presentazione di una nuova figura all’interno del Villaggio della Memoria: il Terapista Occupazionale, con il fine di incentivare e stimolare la curiosità del lettore rispetto alle risorse presenti sul territorio e a come sono gestite in ambito sanitario e sociale.
Il Terapista Occupazionale è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, opera nell’ambito della prevenzione, cura e riabilitazione dei soggetti affetti da malattie e disordini fisici, psichici sia con disabilità temporanee sia permanenti, utilizzando le occupazioni più affini alla persona, con l’obiettivo di migliorare o mantenere le abilità ancora presenti e il relativo senso di efficacia in contesti occupazionali appropriati. Il terapista opera in case protette, centri diurni, nuclei alzheimer, RSA e domicilio, mettendosi in relazione diretta con l’utenza attraverso elementi legati al fare quotidiano delle persone individualmente o in piccolo gruppo, valorizzando i ruoli passati, i pensieri, la gestualità, la volontà di agire, le emozioni.

Intervista alla Dott.ssa Marina Indino (Direttore Generale Area Tecnica Operativa, Responsabile Comunicazione e Marketing)

Con l’intervista al Direttore Generale si vogliono approfondire le evoluzioni e il percorso nella presa in carico dell’utenza anziana con demenza e ricostruire l’esperienza che ha portato alla creazione di un agire sinergico all’interno dell’equipe, la quale ha lavorato su variabili legate alla creazione di spazi personalizzati, progetti e formazione continua per affrontare i bisogni sempre più complessi della persona con demenza e la famiglia.

“La malattia di Alzheimer mette in crisi i tradizionali approcci di cura.” (Guaita A., 2015)

Com’è nata l’esigenza di avere un nucleo protetto all’interno della residenza sanitaria?
L’idea era già presente all’inizio del progetto, perché eravamo consapevoli della differenza di approccio e di gestione da utilizzare per le persone con demenza rispetto ad altri tipi di utenza geriatrica (es. fratture, scompensi cardio-circolatori, nefropatie,…). Il progetto è nato considerando l’esigenza di creare spazi adattati alle caratteristiche cognitive, fisiche e sensoriali che richiedono un intervento mirato da parte del professionista. Gli operatori in questo modo possono assistere in maniera mirata all’interno di un ambiente adatto.
Nel progettare gli spazi si sono tenute in considerazione anche le esigenze e i bisogni di intimità e personalizzazione richiesti dalle famiglie.

Con quali operatori e quanti si è impostato il lavoro? Quante figure aggiuntive si sono inserite nell’equipe?
L’equipe giornaliera da sempre è composta da: medico geriatra, neurospicologo, due infermieri, 4 1/2 operatori per la mattina e 4 1/2 per il pomeriggio, due operatori di notte e 6 fisioterapisti. Inizialmente c’era la presenza di un educatore per la gestione delle attività comuni di reparto: da Febbraio 2018 è stata inserita la figura del terapista occupazionale per intensificare/trasferire le attività sociali dal reparto ad ambienti più intimi e dedicati, es. le stanze da letto o i bagni, in cui la persona potrebbe necessitare di un tipo di assistenza più complessa per sostenere le abilità residue o affrontare la gestione di un disturbo comportamentale complesso nella cura personale. Il nostro obiettivo sarebbe di affidare alla figura del terapista occupazionale l’incarico di formare le figure assistenziali per approcciare meglio l’ospite nella progressione naturale della malattia. Le altre figure esterne sono: parrucchiere, volontari, musicoterapista, arte-terapista e pet-terapista.

Con quale filosofia si è impostato il lavoro inizialmente e cosa è cambiato nel tempo? Perché?
La neuropsicologa Paola Chiambretto, presente sin dall’apertura del Villaggio della Memoria e alla cui memoria é dedicata la borsa di studio e ricerca istituita nel 2018, ci aveva parlato di Moyra Jones, Terapista Occupazionale canadese, e del modello positivo di assistenza per l’Alzheimer chiamato Gentlecare. Anche se non siamo certificati abbiamo comunque preso spunto da questa pratica, dalle esigenze delle famiglie, dai bisogni degli utenti e dalle nostre risorse per costruire nel tempo un modus operandi.
Un altro elemento importante è stata la formazione del personale attraverso aggiornamenti e corsi promossi dall’Ente con l’obiettivo di affinare sempre più la sensibilità verso la persona.

Come sono state prese in carico le famiglie, le storie e i bisogni?
Inizialmente la neuropsicologa, Dott.ssa Chiambretto, aveva l’incarico di ricostruire la storia degli utenti per gestire al meglio il loro ingresso.
Questo processo iniziava prima dell’arrivo dell’ospite e successivamente c’era un confronto con le figure del reparto. Da questa esperienza è nata la riunione settimanale (bio-psico-sociale) sull’andamento e sulle problematiche dei singoli e del reparto da affrontare in collaborazione con tutte le figure. Nel tempo si è vista l’utilità assoluta del passaggio di informazioni attraverso anche i mezzi informatici, risultati utili a fornire una maggiore diffusione nella pratica quotidiana e approcciare al meglio i nostri ospiti anche nelle fasi più avanzate di malattia.

Il Terapista occupazionale nel nucleo protetto: dalla valutazione alla creazione del programma personalizzato per la persona con demenza

Da Febbraio 2018 nell’equipe del nucleo Alzheimer é stata inserita la figura del Terapista Occupazionale, in aggiunta ai professionisti già presenti. Questa fase ha previsto tre momenti di lavoro: conoscenza e osservazione delle persone e della routine di reparto; riorganizzazionone dei programmi attraveso l’affiancamento di un supporto e riferimento all’interno del gruppo assistenziale; proposta di nuovi metodi valutativi e strumenti per affinare l’approccio utilizzato per la persona con demenza.
Il Terapista Occupazionale si pone l’obiettivo di capire e condividere con il gruppo di lavoro il disagio e le caratteristiche (persecutorietà, allucinazioni, deliri, disturbo alimentare) che allontanano la persona dalla realtà circostante e dalla vita sociale. La relazione che si crea tra terapista/paziente é caratterizzata dalla presenza di elementi che mettono in comunicazione le parti attraverso un fare insieme significativo.
Le metodologie utilizzate in ambito geriatrico per ora in Italia sono il Gentlecare di Moyra Jones nelle residenze e il Cotid di Maud Graff al domicilio: in entrambe la figura del Terapista Occupazionale ha il ruolo di capire come permettere/favorire il benessere e il mantenimento delle condizioni fisiche, emotive e relazionali il più a lungo possibile, attraverso un trattamento efficace e flessibile nel tempo.

Importante ricordare che per il gruppo di persone (inclusa anche la famiglia) che vive intorno al soggetto, favorire un “fare significativo”, nel qui ed ora, permette di restituire la serenità e la riorganizzazione interiore, evitando la comparsa del caos, ovvero i disturbi del comportamento.

Come il Terapista Occupazionale si avvicina all’utenza durante le prime giornate di degenza?
Nelle prime giornate di vita nel Villaggio della Memoria si rende necessario un momento formale di conoscenza delle abitudini passate dell’ospite, questo avviene attraverso il colloquio con il caregiver informale o formale di riferimento, insieme all’osservazione delle abilità fisiche e cognitive ancora presenti (alcuni esempi: quale ausilio o supporto utilizza per gli spostamenti; come si relaziona con le persone; come funzionano vista e udito; quali sono i momenti di maggiore o minore difficoltà nella gestione del comportamento giornaliero;…).
Il Terapista Occupazionale fin dai primi giorni effettua una valutazione delle abilità all’interno della quotidianità con il fine di osservare in maniera ecologica elementi di forza e di debolezza realistici per la persona e creare un programma di intervento condiviso da tutte le figure.
La prima fase risulta un momento cruciale per la persona con demenza e il parente, perché molto spesso entrambi sono portatori di un carico di stress che i professionisti devono gestire nell’inserimento, a causa della crisi a cui si assiste durante ogni passaggio della malatia. Esempio: Fiammetta (77 anni), con malattia di Alzheimer, ex infermiera in psichiatria; prima della diagnosi riusciva a svolgere i propri compiti quotidiani all’interno della casa, continuava a rivestire il proprio ruolo e aveva una vita affettiva soddisfacente. A un certo punto la famiglia si accorge che non riesce più a portare a termine queste attività, le faccende domestiche sono sempre meno minuziose, diventa più difficile l’utilizzo dei soldi, la persona è ripetitiva e si alimenta con maggiore difficoltà, perché non riesce a rimanere portare a termine il compito. Dopo la diagnosi, la famiglia decide per il ricovero nel nucleo alzheimer di Villaggio Amico, con una domanda e obiettivi diversi da parte dei due figli, uno più consapevole della situazione di gravità rispetto all’altro. La domanda di supporto in questo caso ha richiesto interventi specifici diversi per la famiglia e il paziente, con l’obiettivo di rispondere al meglio alla crisi provocata dal cambiamento e favorire l’adattamento all’ambiente.

Osservazione e valutazione
Al primo intervento si utilizza un approccio di terapia occupazionale psicoanalitico in cui si osserva senza intervento, per cogliere e comprendere gli elementi caratterizzanti della persona:
• aspetto fisico: posizione del corpo, andatura, come si presenta la persona (cosa indossa, come si pettina, …). Fiammetta appare molto esile e curata nell’aspetto; l’andatura appare dritta e sicura con passo veloce come se non volesse perdere tempo
• sguardo: cosa e come guarda le persone e l’ambiente circostante, cosa esprimono gli occhi. Fiammetta si guarda intorno cercando punti di riferimento per chiedere informazioni quando la famiglia é in colloquio con il medico. Controlla gli arredi e le persone presenti
• gestualità e movimenti: come gesticola e si muove la persona, da cosa é attirata, come si comporta nel nuovo ambiente, come risponde agli stimoli. Fiammetta si muove continuamente, allunga le mani verso alcune persone, si avvicina con rispetto, rivolge alcune parole di riguardo, sorride
• voce e linguaggio: con chi parla, come, articolazione e senso del linguaggio. Fiammetta si mette in relazione con toni dolci, ha uno spiccato accento meridionale e quando le si chiede di raccontare la propria storia utilizza un linguaggio poco articolato di contenuti e parole
• mani: come si muovono, cosa fanno, se hanno movimenti ripetitivi, se compiono stereotipie. Fiammetta utilizza molto le mani, le riconosce come uno strumento che da brava infermiera ha sempre dovuto sfruttare, si tocca spesso le gambe
• modo di porsi con le persone: si avvicina, abbraccia, bacia, si arrabbia, stringe,… . Fiammetta si avvicina con rispetto alle persone malate e ricerca il contatto attraverso la propria voce, accarezza con riguardo e risponde agli sguardi.

La prima osservazione di un’attività della vita quotidiana é il pasto, comunicato dalla famiglia come momento problematico al domicilio, perché Fiammetta non era più in grado di sostenere lo stress provocato dalla durata dell’attività. Il giorno dell’ingresso dopo la predisposizione della stanza, la famiglia saluta e lascia il nucleo; Fiammetta viene invitata al tavolo preparato per il primo pasto. Si decide di affiancarla ad un gruppo di tre donne con analoghe capacità motorie e comunicative; si presenta e la si invita a rimanere seduta. Fiammetta mangia velocemente utilizzando una posata per buona parte del primo piatto e successivamente si alza alla ricerca della propria famiglia. Si invita la persona a proseguire il pasto, però la stessa continua a muovere impaziente le mani sul tavolo e ad alzarsi. Non mangia il secondo e appare disturbata dalle interferenze esterne che cercano di ricondurla al compito. La comunicazione diventa meno chiara, la ricerca più compulsiva e la relazione con gli altri appare scostante.
Per Fiammetta la relazione con il cibo non era un’esperienza personale positiva, non portava fonte di soddisfacimento o relazione, non la mettava in comunicazione, bensì la riportava ad esperienze passate lavorative di difficile controllo nel presente.
La persona stava presentando sé e la propria identità attravero un comportamento che raccoglieva elementi legati alla storia sociale e lavorativa: sul luogo di lavoro Fiammetta consumava il proprio pasto in piedi, frettosalosamente.
Partendo da questo il terapista occupazionale ha individuato i bisogni durante la fase di inserimento nel nucleo alzheimer: identità (riconoscimento della storia dell’altro), attaccamento (riconoscimento e soddisfazione della creazione di legami specifii), confronto (proposta di vicinanza e rassicurazione per affrontare al meglio il senso di perdita), inclusione (supporto del bisogno) e nel suo caso soprattutto essere occupati (creazione di opportunità e di coinvolgimento utili all’utilizzo delle capacità ancora presenti). (Morganti F., 2018)
L’elemento di forza di Fiammetta nella creazione di una nuova routine all’interno della residenza é stato l’aspetto volitivo nell’essere occupata, perciò le attività sono state utilizzate come la base dell’intervento, ovvero come mezzo e come fine. Il bisogno di agire non deve essere considerato come fine a se stesso, bensì Fiammetta ha sin da subito utilizzato le occupazioni per dimostrare la priopria bravura ed efficacia (essere occupati, inclusi, identità), perchè con occupazione si intende tutto ciò che fanno le persone per se stesse, per provare piacere personale nella vita e contribuire alla comunità, mentre la volizione é il sistema motivante che permette di attuare un comportamento.

I pensieri e i sentimenti volizionali di identità hanno permesso l’accesso nella scelta delle occupazioni da proporre e hanno creato la forma di relazione su cui successivamente si é impostata la routine.
Tutti gli elementi di partecipazione alle occupazioni quotidiane (per Fiammetta: occuparsi degli altri, occuparsi dell’ambiente fisico, toccare e guardare animali, uscire con la famiglia, avere una relazione sentimentale, ballare e cantare, …) sono collegati fra loro dal principio che gli oggetti familiari e costanti dell’ambiente possono essere carichi di un valore affettivo, in quanto sono facilmente percepiti e riconosciuti, ovvero creano un senso di sicurezza efficace nella persona.

Conclusioni: Il Terapista Occupazionale si avvale di modelli teorici e pratici per la pratica centrata sulla persona che “cura” e utilizza le attività in modo terapeutico per promuovere il benessere, la salute e abilitare all’occupazione. Nel “fare” la persona porta con sé il suo mondo interiore, ciò permette di esprimere aspetti di sé che contribuiscono a mantenere il senso di identità, competenza ed esprimere la propria vitalità nella comunità.